Prelevato nella sezione "chiedi all'esperto" del sito   LA VIA LATTEA

 

Volevo chiederle maggiori chiarimenti (se possibile, visto che forse sono stati chiari e sono io che non capisco) riguardo a 2 domande che ho fatto, che può trovare alle pagine: http://www.vialattea.net/esperti/st/indet.htm http://www.vialattea.net/esperti/st/indet2.htm In particolare... nelle due domande della seconda e-mail NON chiedevo se Einstein avesse ragione o no (ho sentito che probabilmente non ce l'ha), MA chiedevo come mai muoveva questa obbiezione alla quantistica, visto che anche Heisenberg aveva detto che l'unico ostacolo al determinismo è la mancanza delle condizioni iniziali. Se è così cosa centrano i dadi? Perché sarebbe crollato il principio di causalità? Capisce cosa voglio dire?... spero tanto che vorrà essere così gentile da provare a spiegarmi anche se lo ha già fatto Luigi Foschini (ripeto, probabilmente è solo per mia limitatezza, ma non ho ben capito la risposta...). Capisce inoltre cosa chiedo nella seconda domanda? (mi appassiona la cosmologia e ho stampato molte sue pagine, soprattutto sulla curvatura). Non crede che un universo retto da determinismo (senza caso) non possa essere scaturito da una singolarità visto che non è totalmente omogeneo? Da dove potrebbe essere nata l'asimmetria (presupposto per la coscienza) se non dal caso? Solo da situazioni iniziali già caotiche (mi sembra l'unica alternativa all'esistenza del caso nello svolgersi dei fenomeni...).

(Risponde Silvano Fuso)

 

ll principio di Heisenberg ha provocato molte discussioni epistemologiche e spesso è stato oggetto di fraintendimenti. Molto frequentemente esso viene interpretato considerando che una qualsiasi misura di una grandezza fisica presuppone una inevitabile interazione tra osservatore e realtà. Tale interazione perturba la realtà e quindi anche la grandezza fisica che intendiamo misurare. Da qui deriva l'inevitabile indeterminazione. Questa interpretazione del principio di Heisenberg, pur non essendo scorretta, corre il rischio di essere fuorviante. Infatti, le perturbazioni prodotte dal processo di misura sono inevitabili anche nella fisica classica e non sono pertanto una peculiarità della meccanica quantistica. Inoltre tale interpretazione può far pensare che il principio di Heisenberg derivi semplicemente da una "incapacità" dell'osservatore e non sia invece inevitabilmente connesso alla natura della realtà, come afferma la cosiddetta interpretazione di Copenaghen.

Per meglio comprendere il significato del principio di Heisenberg (e quindi di tutta la Meccanica Quantistica) è opportuno sottolineare come esso sia una inevitabile conseguenza della necessità di dover descrivere le particelle materiali in termini ondulatori, secondo l'ipotesi formulata nel 1924 da Louis De Broglie (anche se lo stesso Heisenberg lo dedusse per altra via). È possibile mostrare, con un po' di calcoli matematici, che la relazione di indeterminazione Dp×Dq ³ h/4p è una conseguenza del dualismo onda particella.

L'idea di fondo è questa. Un'onda infinita non è per niente localizzabile, mentre una particella classica deve esserlo. Se vogliamo associare un'onda a una particella mantenendo una certa localizzabilità, non possiamo usare un'unica onda, bensì un treno (o pacchetto) d'onda. Un treno d'onda può essere espresso come sovrapposizione di infinite onde di lunghezza d'onda diversa (integrale di Fourier). La necessità di utilizzare non più un'unica lunghezza d'onda bensì infinite porta, come conseguenza, una indeterminazione sulla quantità di moto della particella. Secondo De Broglie, infatti, la lunghezza d'onda e la quantità di moto sono legati dalla relazione l = h/p (l = lunghezza d'onda, p = quantità di moto, h = costante di Planck). Si può facilmente intuire (e dimostrare matematicamente) che quanto più vogliamo localizzare il treno d'onda (in pratica diminuire l'incertezza della posizione della particella), tanto più è alta l'indeterminazione sulla quantità di moto e viceversa.

Molti fisici (Einstein in testa) hanno sempre rifiutato che l'indeterminazione sia una caratteristica intrinseca della realtà fisica. Questo è il senso della famosa frase di Einstein, secondo la quale Dio non giocherebbe ai dadi col mondo. Di conseguenza hanno preferito ipotizzare che la descrizione fornita dalla meccanica quantistica fosse semplicemente incompleta. Il loro ragionamento, in pratica, consiste nel dire: anche a livello microscopico la realtà fisica continua a essere deterministica, solo che noi non possiamo conoscere con precisione i valori delle variabili di stato e quindi siamo costretti a una descrizione indeterministica. Per spiegare questa nostra incapacità molti fautori del determinismo (a cominciare dallo stesso Einstein) tirarono fuori l'idea delle cosiddette "variabili nascoste". A livello microscopico, vi sarebbe cioè qualche fattore non ancora conosciuto che ci impedirebbe una descrizione deterministica. Nel momento in cui noi conoscessimo questi fattori potremmo fornire una descrizione completamente deterministica.

Per molti anni il dibattito tra i fautori delle variabili nascoste e i fautori dell'indeterminismo intrinseco rimase su un livello puramente metafisico. Nel 1964, tuttavia, il fisico J.S. Bell ricavò una famosa diseguaglianza (teorema di Bell) che consentiva di trasferire sul piano sperimentale quella che fino a quel momento era stata una discussione metafisica. Tale diseguaglianza, in pratica, faceva prevedere risultati sperimentali diversi a seconda che fosse stata vera l'ipotesi delle variabili nascoste (almeno limitatamente alle cosiddette "teorie locali") oppure no. Negli anni ottanta, presso i laboratori di Orsay a Parigi, un gruppo di fisici guidati da A. Aspect (A. Aspect, Physical Review Lett. 49, 91, 1982; 49, 1084, 1982; Atomic Physics 8, 1982) riuscì finalmente a realizzare degli esperimenti, concettualmente analoghi a quello ideale (gedanken experimente) proposto da Einstein, Podolsky e Rosen nel 1935 (A. Einstein, B. Podolsky e N. Rosen, Physical Review 47, 777, 1935), che avrebbero dato una risposta all'annosa questione. Ebbene, i risultati ottenuti erano incompatibili con le teorie locali a variabili nascoste e confermavano la sostanziale indeterminazione intrinseca della realtà fisica.

Tornando al principio di Heisenberg, penso che sia significativo e privo di ambiguità quanto afferma E.V.H. Wichmann: "Le relazioni di indeterminazione stabiliscono i limiti oltre i quali i concetti della fisica classica non possono essere applicati. Il "sistema fisico classico", descritto per mezzo delle variabili dinamiche classiche che sono funzioni definite nel tempo e che, in teoria, possono essere conosciute con precisione arbitraria, è un'invenzione dell'immaginazione: nel mondo reale esso non esiste. Sono stati eseguiti esperimenti i quali dimostrano che le cose stanno così" (E.V.H. Wichmann, La fisica quantistica, vol 4 de La fisica di Berkeley, Zanichelli, Bologna 1980).

Quindi, riassumendo, spero di poter rispondere a tutti i quesiti del lettore nel modo seguente:

1) Il principio di Heisenberg non stabilisce solo la nostra impossibilità di conoscere contemporaneamente i valori della posizione e della quantità di moto di una particella. Stabilisce che tali valori, prima che venga fatta una misura, sono assolutamente e intrinsecamente indeterminati.

2) Le obiezioni di Einstein alla meccanica quantistica avevano un senso perché il grande fisico si era perfettamente reso conto che la meccanica quantistica è incompatibile con il determinismo. Tuttavia le sue concezioni ostinatamente deterministiche e i suoi tentativi di difenderle (variabili nascoste) non hanno retto alla prova dei fatti.

3) La realtà microscopica è intrinsecamente indeterminata. Questo darebbe ragione al buon "Democrito che 'l mondo a caso pone" (Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno IV, 136). Tuttavia quello che appare sorprendente è che la realtà macroscopica sia invece in buona misura deterministica. Spiegare questa apparente contraddizione è un'affascinante sfida della fisica teorica. Un interessante tentativo di soluzione appare quello fornito da tre fisici italiani G. Ghirardi, A. Rimini e T. Weber (G. Ghirardi, A. Rimini e T. Weber, Physical Review D 34, 470, 1986).

Nota: La complessità e la vastità dell'argomento affrontato meriterebbero sicuramente una trattazione più esauriente di quanto non abbia potuto fare nella mia risposta. Se il lettore è interessato, lo invito pertanto ad approfondire l'argomento suggerendogli alcuni utili volumi:
- B. d'Espagnat, I fondamenti concettuali della meccanica quantistica, Bibliopolis, Napoli 1980;
- D. Lindley, La luna di Einstein, Longanesi & C., Milano 1997;
- G. Ghirardi, Un'occhiata alle carte di Dio, Il Saggiatore, Milano 1997. Silvano Fuso

 

Vedi anche questa risposta sull'indeterminazione e il libero arbitrio.