L’elettrodinamica quantistica: la riflessione della luce sotto un’ottica diversa

Tratto da un articolo di Vincenzo Zappalà

 

L’elettrodinamica quantistica (QED)  sostanzialmente studia le interazioni tra luce e materia ovvero tra fotoni ed elettroni.
La luce, come sappiamo, è causa di  numerosi fenomeni: si scompone in colori, si muove lungo una retta, si piega quando entra nell’acqua, si riflette quando colpisce uno specchio, ecc.
Ebbene, tutti questi fenomeni, studiati dall’ottica classica, possono essere spiegati in un modo “strano” ma forse più esauriente ed esatto attraverso l'elettrodinamica quantistica ed in particolare attraverso il metodo di R.Feynman, vero maestro sia scientifico che divulgativo di questa disciplina.
Ricordiamo che nel XX sec. si è compreso che la luce oltre ad una natura ondulatoria possiede anche proprietà corpuscolari. Ogni particella di luce detta anche “quanto di luce” o fotone trasporta un’ informazione luminosa caratterizzata da una frequenza o colore. I fotoni possono essere percepiti attraverso un “tac” da un apparecchio rivelatore. Questo “tac” sarà più o meno "forte" a seconda della frequenza o colore del fotone. Ricordiamo anche che se un fotone colpisce un rivelatore non può colpirne anche un altro. In poche parole, il fotone è una particella indivisibile.

La riflessione della luce sotto un’ottica diversa

Dedichiamoci a un fenomeno a tutti noto e ben spiegato dall’ottica classica: la riflessione parziale della luce da parte del mare o di un lago. Se si guarda all’interno dell’acqua si vede ciò che sta sotto la superficie (la luce deve quindi penetrare), ma, nello stesso momento, si vede anche il riflesso di qualche cosa che illumina la superficie (la luna, il sole etc..). Si può quindi facilmente concludere che parte della luce viene riflessa e parte viene rifratta, ossia penetra nell’acqua, anche se con un percorso "piegato" rispetto a quello con il quale l’aveva colpita.
La stessa cosa capita se accendete una lampada in casa in pieno giorno e guardate il vetro della finestra: vedreste sia ciò che sta succedendo all’esterno, ma anche il riflesso della lampada. Un’ulteriore prova che la luce è capace sia di attraversare il vetro sia di essere riflessa. Questo è un fenomeno che si può facilmente descrivere con l’ottica geometrica e con la fisica classica. Tuttavia, ben più esauriente (e assurda) è la spiegazione che si può dare attraverso la QED.
A questo punto siamo pronti a fare un esperimento ideato da Feynman. Ciò che occorre è un pezzo di vetro, due rivelatori di fotoni e qualche fotone con lo stesso codice, ossia con la stessa frequenza o colore. Un rivelatore R1 aspetta i fotoni che rimbalzano indietro e l’altro, R2, viene “inserito” dentro al vetro in modo da catturare quelli che entrano.
L’esperimento è rappresentato in Fig. 1.

Lanciamo 100 fotoni dalla sorgente S. Poi andiamo a controllare cosa hanno ricevuto i due rivelatori R1 e R2. Il primo solo 4 fotoni e il secondo 96. Possiamo facilmente concludere che 96 fotoni sono penetrati nel vetro e 4 sono stati riflessi.
Già questo risultato, dall’apparenza ovvia, impone una domanda imbarazzante: “Perché qualche fotone (4) finisce in R1 e molti altri (96) finiscono in R2?”. I fotoni sono per definizione perfettamente uguali e hanno anche lo stesso numero che li identifica (la stessa frequenza). Non ha alcun senso che si comportino in maniera diversa.
Non ci rimane che entrare nel mondo dell’assurdo e dire che è impossibile conoscere cosa decide di fare il singolo fotone. Può “scegliere” di andare dritto o rimbalzare, ma è una decisione tutta sua che non potremmo mai conoscere. Tuttavia, qualcosa può essere conosciuto, ossia la percentuale di fotoni che tornano indietro rispetto a quelli che avanzano.
Non possiamo prevedere quale fotone fa una scelta o l’altra, però possiamo dire che il 4% torna indietro e il 96% va avanti. In altre parole, la Natura ci permette solo di calcolare una probabilità.
Tuttavia, questo risultato è ancora niente rispetto a quello che ci attende, complicando un poco l’esperimento. Al posto di una sola superficie riflettente, ne prendiamo due. Ciò si ottiene con una lastra di spessore molto piccolo in cui la superficie superiore e quella inferiore siano perfettamente parallele.
Sappiamo già molto bene che alcuni fotoni si riflettono sulla superficie d’entrata, ma altri possono riflettersi su quella di uscita (ricordiamoci che, per il momento, abbiamo considerato che la riflessione avvenga solo su una superficie). Poniamo il rivelatore R2 al di sotto della lastra sottile, come rappresentato in Fig. 2. Facciamo un po’ di conti, accettando l’assurdità che i fotoni possano scegliere e che noi ci si possa limitare solo a un calcolo delle probabilità. Dunque, la prima superficie rifletterebbe solo 4 fotoni e 96 dovrebbero passare (ne abbiamo avuto conferma diretta). I 96 che entrano colpiscono la seconda superficie e dovrebbero subire lo stesso fenomeno. Il 4% dei 96 dovrebbe nuovamente essere riflesso. Senza voler andare troppo nel sottile, i fotoni o sono uno o zero e non frazioni dell’unità: ci dobbiamo aspettare che sul rivelatore R1 arrivino o 7 o 8 fotoni dei 100 inviati.

Già in questo modo abbiamo dovuto fare uno sforzo di illogicità, accettando di ragionare solo in termini di probabilità di fronte a un fenomeno fisico che la Scienza dovrebbe poter spiegare e calcolare perfettamente.
Ebbene, i fotoni ricevuti da R1 sono molti di più, ben 16! Ciò è ulteriormente confermato dal fatto che R2 ne riceve solo e soltanto 84. Non si può nemmeno sperare che i fotoni si siano, in qualche modo, moltiplicati.
Quel 16% ci mette veramente in crisi. Non solo dobbiamo continuare a parlare in termini di probabilità, ma dobbiamo anche accettare il fatto che la seconda superficie sembri amplificare l’attesa probabilistica.
Provando a cambiare le lastre di vetro con altre dello stesso materiale ma con spessori diversi vediamo che il numero dei fotoni va di volta in volta variando. Con una lastra sottilissima, il cui spessore possa considerarsi praticamente zero. R1 riceve mediamente soltanto 1 fotone. Aumentando lo spessore, appena appena: R1 riesce a ricevere proprio 8 fotoni, il numero che ci saremmo aspettati all’inizio. Se inseriamo una lastra più spessa, dell’ordine di 10-4 millimetri, i fotoni tornano a essere 16. Un valore massimo però.
Aumentando ancora lo spessore il numero inizia a decrescere per tornare nuovamente a 1 o addirittura a zero. Continuando ad allargare la lastra, si ripete il ciclo e via dicendo. Insomma, lo spessore della lastra cambia la probabilità di avere un certo numero di fotoni riflessi e lo fa in modo perfettamente periodico.
Il numero dei fotoni riflessi varia ciclicamente da un minimo di 0 ad un massimo di 16 ed in ogni ciclo ciascun valore compare due volte. Feynman, giustamente, diceva che l’andamento di questo fenomeno è simile a quello di un orologio, in cui le lancette segnano una certa ora solo due volte in 24 ore. Questo risultato ha un certo senso matematico e può essere rappresentato attraverso la Fig. 3, dove in ascissa mettiamo lo spessore della lastra di vetro e in ordinata la percentuale di fotoni che raggiungono R1. Come, ormai, ci aspettavamo, data la periodicità del risultato, la curva è una sinusoide, composta da una serie ininterrotta di massimi e minimi.

In realtà, stiamo accettando come logico e matematico un qualcosa che è di per sé un fenomeno completamente assurdo. Il numero di fotoni riflessi dovrebbe dipendere dalle caratteristiche intrinseche dei fotoni o, al più, dalla composizione del vetro. Il fatto che, aumentando o diminuendo la distanza tra le superfici parzialmente riflettenti, cambi la capacità delle stesse superfici di riflettere i fotoni, resta una vera assurdità nella logica comune. Ma la cosa ancora più assurda è che la seconda superficie riesce ad annullare ciò che dovrebbe comunque succedere nella prima.

Infatti, se accettiamo che la prima superficie ne rifletta sempre il 4%, l’aggiunta della seconda, qualsiasi sia la distanza dalla prima, potrebbe aumentare oppure no il numero dei fotoni riflessi (e già questo è alquanto strano), ma non certo riuscire ad annullare quelli della prima. Sembrerebbe che i fotoni della prima riflessione non solo scelgano dove andare, ma decidano in base a ciò che capiterà ai loro “fratelli” nella seconda riflessione. In altre parole, ciò che capita nella seconda superficie sembra influire su ciò che capita nella prima, anche se avviene dopo.

Nessuno è in grado di capire perché capita tutto questo, l’unica cosa che si riesce a fare è calcolare esattamente, attraverso una tecnica perfetta, la probabilità che la luce sia più o meno riflessa da una superficie. Nessuno è ancora riuscito a spiegare perché e come un fotone decide di comportarsi, tuttavia la QED ci permette di calcolare esattamente la probabilità di ottenere un certo risultato a seconda delle situazioni.

Feynman dà particolare risalto all’esempio della riflessione, ma lo stesso tipo di trattazione e di spiegazione si applica a TUTTI i fenomeni in cui vi è interazione tra luce e materia. Questo fa della QED un gioiello fisico assoluto, assurdo -se volete-, ma preziosissimo!

Per potere effettuare il calcolo dell’esatta probabilità (l’unica cosa possibile) è necessario introdurre una semplice freccia, di direzione e lunghezza variabili e quindi  munirsi di un foglio di carta e di un cronometro ( ma può anche bastare un semplice orologio calibrato adeguatamente).

Ricordando che la probabilità che un fotone si rifletta sulla prima superficie è del 4%, rappresentiamo tale probabilità con un quadrato con area di 0,04. La freccia che indica la probabilità che un fotone si rifletta sulla prima superficie sarà lunga quanto il lato del suddetto quadrato e cioè sarà uguale alla radice quadrata di 0,04, ossia 0,2. Come mostrato nella fig.4

Poiché a seconda degli spessori  delle lastre di vetro la probabilità finale dei fotoni riflessi dalle due superfici varia da 0% a 16% la lunghezza della freccia rappresentante la corrispondente probabilità sarà data dai valori delle radici quadrate che variano da 0 a 0,16 e cioè 0 e 0,4. Ciò vuol dire che affinché un fotone raggiunga il rivelatore R1 deve aversi che la combinazione delle due frecce rappresentanti le probabilità di riflessione delle prima e della seconda superficie  deve essere compreso tra i suddetti valori 0 e 0,4.

Ovviamente,  se le superfici riflettenti fossero tre o più, dovremmo combinare tre o più frecce.
La regola di combinazione delle due o più frecce è quella del calcolo vettoriale che ripassiamo brevemente qui di seguito (Fig.5)

Per sommare” la freccia x con la freccia y spostiamo il vettore y, parallelamente a se stesso, senza cambiargli direzione, verso e modulo, fino a che la sua “coda” coincida con la “punta” di x.  A questo punto non ci rimane che unire la coda della prima freccia con la punta della seconda. La freccia che si ottiene è la combinazione delle due. Avete notato sicuramente  che non abbiamo fatto altro che sommare i vettori x e y. Il vettore finale è la somma vettoriale di x e y.

La Fig. 6 ci fa vedere una combinazione in cui abbiamo a che fare con un maggior numero di frecce. Il risultato si ottiene seguendo la regola già descritta. Notate, comunque, che non è importante l’ordine con cui si combinano le frecce: la freccia finale è sempre la stessa

Ma come definire la lunghezza delle singole frecce e, soprattutto, la loro direzione? Non dimentichiamo che le singole frecce rappresentano le due riflessioni (nella prima e nella seconda superficie) e la freccia finale riproduce la probabilità della doppia riflessione. Il vero problema è quindi definire in modo corretto la direzione di ogni freccia. Solo lei “deciderà” cosa si ottiene dopo la combinazione delle frecce, ossia qual è la somma dei vettori.
Feynman ci insegna a calcolare la direzione delle frecce attraverso una geniale descrizione che fa uso di un cronometro speciale, la cui lancetta ruota seguendo il movimento del fotone.

Facciamo partire il cronometro ogni volta che un fotone esce dalla sorgente e schiacciamo con decisione e prontezza il pulsante all’arrivo del fotone in R1 (sempre che sia uno di quelli che arriva su R1, ovviamente). Se il fotone giunge a destinazione riflettendosi sulla prima superficie, dobbiamo considerare come direzione quella della lancetta, ma invertire il verso, come rappresentato in Fig. 7a.
Se, invece, il fotone arriva in R1 riflettendosi sulla seconda superficie, la direzione è sempre quella della lancetta, ma il verso rimane quello che è (Fig. 7b). Ovviamente, il fotone attraversa due volte la lastra molto velocemente (la lastra è stata scelta veramente sottile) e quindi arriva su R1, dopo la riflessione sulla seconda superficie, con una direzione della lancetta ben poco diversa da quella che aveva nel caso del fotone precedente. La lunghezza di entrambe le frecce resta quella che è, ossia 0.2, dato che entrambi gli eventi hanno la probabilità del 4% di avvenire.

Sommando le due frecce con il calcolo vettoriale Fig.8 si ricava la freccia finale, il cui quadrato non è altro che la probabilità finale di avere una riflessione, non importa in quale superficie siano avvenute le riflessioni. E’ facile notare che la freccia rossa finale è estremamente corta e quindi la probabilità che capiti l’evento complessivo è veramente vicina a zero (0.0025).

Siamo riusciti (senza aver capito perché) a calcolare graficamente la probabilità finale di una doppia riflessione e altresì che due probabilità possono dare una probabilità finale nettamente più bassa che la “banale” somma delle due. In particolare, più bassa anche di quella della sola prima riflessione (che è del 4%).

Continuiamo il nostro esperimento aumentando lo spessore della lastra.
Il fotone che si riflette nella superficie superiore non cambia assolutamente e la sua freccia resta tale e quale(Fig. 9a).. L’altro che si riflette su quella inferiore deve invece percorrere un tragitto più lungo e mentre lo fa il cronometro continua a girare.
Quando, finalmente, arriva in R1, la lancetta si è spostata “parecchio” rispetto al caso precedente (Fig. 9b).

Sommando, come precedentemente, le due frecce con il calcolo vettoriale si trova che la freccia finale è 0,3 e quindi una probabilità finale di 0,3= 0,09 ossia del 9% (Fig.10).In questo caso l’aumento di spessore della lastra ha incrementato l’evento riflessione.

Aumentiamo ancora lo spessore della lastra fino a un certo livello “critico” e dato che il tragitto del fotone che rimbalza sulla seconda superficie è aumentato vediamo Fig.11 che quando viene percepito dal rivelatore R1 la lancetta del cronometro ha percorso esattamente mezzo giro in più.

In questo caso vediamo che le due frecce relative vanno nella stessa direzione e che, di conseguenza, la freccia finale ha una lunghezza esattamente uguale al doppio di quella singola. In conclusione abbiamo una freccia finale rossa che ha una lunghezza di 0.4. Il suo quadrato è 0.16, ossia la probabilità che un fotone rimbalzi verso R1 è salita al suo massimo, il 16% Fig.12

Ricapitoliamo: non comprendiamo bene il perché, tuttavia, abbiamo escogitato (ops… Feynman ha escogitato…) un metodo di una semplicità disarmante che ci permette di calcolare, comunque, la probabilità finale che un fotone ha di arrivare su R1. Noi l’abbiamo seguito graficamente e senza introdurre la “matematica”, ma esistono formule estremamente complesse che potrebbero definirlo in modo ineccepibile. Ricordiamoci che la QED si basa su una perfetta matematica, ma ha la “gentilezza” di farsi comprendere anche attraverso operazioni alla portata di tutti.

 
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