L’elettrodinamica quantistica: la riflessione della luce sotto un’ottica diversa |
Tratto da un articolo di Vincenzo Zappalà
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L’elettrodinamica quantistica (QED) sostanzialmente
studia le interazioni tra luce e materia ovvero tra fotoni ed
elettroni. |
La riflessione della luce sotto un’ottica diversa |
Dedichiamoci a un fenomeno a tutti noto e ben spiegato dall’ottica classica: la riflessione parziale della luce da parte del mare o di un lago.
Se si guarda all’interno dell’acqua si vede ciò che sta sotto la superficie (la luce deve quindi penetrare), ma, nello stesso momento, si vede anche il
riflesso di qualche cosa che illumina la superficie (la luna, il sole etc..). Si può quindi facilmente concludere che parte della luce viene riflessa e
parte viene rifratta, ossia penetra nell’acqua, anche se con un percorso "piegato" rispetto a quello con il quale l’aveva colpita. |
Lanciamo 100 fotoni dalla sorgente S. Poi andiamo a controllare cosa hanno ricevuto i due rivelatori R1 e R2. Il primo solo 4 fotoni e il secondo 96.
Possiamo facilmente concludere che 96 fotoni sono penetrati nel vetro e 4 sono stati riflessi. |
Già in questo modo abbiamo dovuto fare uno sforzo di illogicità, accettando di ragionare solo in termini di probabilità di fronte a un fenomeno fisico che la Scienza dovrebbe poter
spiegare e calcolare perfettamente. |
In realtà, stiamo accettando come logico e matematico un qualcosa che è di per sé un fenomeno completamente assurdo. Il numero di fotoni riflessi dovrebbe dipendere dalle caratteristiche intrinseche dei fotoni o, al più, dalla composizione del vetro. Il fatto che, aumentando o diminuendo la distanza tra le superfici parzialmente riflettenti, cambi la capacità delle stesse superfici di riflettere i fotoni, resta una vera assurdità nella logica comune. Ma la cosa ancora più assurda è che la seconda superficie riesce ad annullare ciò che dovrebbe comunque succedere nella prima. |
Infatti, se accettiamo che la prima superficie ne rifletta sempre il 4%, l’aggiunta della seconda, qualsiasi sia la distanza dalla prima, potrebbe aumentare oppure no il numero dei fotoni riflessi (e già questo è alquanto strano), ma non certo riuscire ad annullare quelli della prima. Sembrerebbe che i fotoni della prima riflessione non solo scelgano dove andare, ma decidano in base a ciò che capiterà ai loro “fratelli” nella seconda riflessione. In altre parole, ciò che capita nella seconda superficie sembra influire su ciò che capita nella prima, anche se avviene dopo. |
Nessuno è in grado di capire perché capita tutto questo, l’unica cosa che si riesce a fare è calcolare esattamente, attraverso una tecnica perfetta, la probabilità che la luce sia più o meno riflessa da una superficie. Nessuno è ancora riuscito a spiegare perché e come un fotone decide di comportarsi, tuttavia la QED ci permette di calcolare esattamente la probabilità di ottenere un certo risultato a seconda delle situazioni. |
Feynman dà particolare risalto all’esempio della riflessione, ma lo stesso tipo di trattazione e di spiegazione si applica a TUTTI i fenomeni in cui vi è interazione tra luce e materia. Questo fa della QED un gioiello fisico assoluto, assurdo -se volete-, ma preziosissimo! |
Per potere effettuare il calcolo dell’esatta probabilità (l’unica cosa possibile) è necessario introdurre una semplice freccia, di direzione e lunghezza variabili e quindi munirsi di un foglio di carta e di un cronometro ( ma può anche bastare un semplice orologio calibrato adeguatamente). |
Ricordando che la probabilità che un fotone si rifletta sulla prima superficie è del 4%, rappresentiamo tale probabilità con un quadrato con area di 0,04. La freccia che indica la probabilità che un fotone si rifletta sulla prima superficie sarà lunga quanto il lato del suddetto quadrato e cioè sarà uguale alla radice quadrata di 0,04, ossia 0,2. Come mostrato nella fig.4 |
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Poiché a seconda degli spessori delle lastre di vetro la probabilità finale dei fotoni riflessi dalle due superfici varia da 0% a 16% la lunghezza della freccia rappresentante la corrispondente probabilità sarà data dai valori delle radici quadrate che variano da 0 a 0,16 e cioè 0 e 0,4. Ciò vuol dire che affinché un fotone raggiunga il rivelatore R1 deve aversi che la combinazione delle due frecce rappresentanti le probabilità di riflessione delle prima e della seconda superficie deve essere compreso tra i suddetti valori 0 e 0,4. |
Ovviamente, se le
superfici riflettenti fossero tre o più, dovremmo combinare tre o
più frecce. |
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Per sommare” la freccia x con la freccia y spostiamo il vettore y, parallelamente a se stesso, senza cambiargli direzione, verso e modulo, fino a che la sua “coda” coincida con la “punta” di x. A questo punto non ci rimane che unire la coda della prima freccia con la punta della seconda. La freccia che si ottiene è la combinazione delle due. Avete notato sicuramente che non abbiamo fatto altro che sommare i vettori x e y. Il vettore finale è la somma vettoriale di x e y. |
La Fig. 6 ci fa vedere una combinazione in cui abbiamo a che fare con un maggior numero di frecce. Il risultato si ottiene seguendo la regola già descritta. Notate, comunque, che non è importante l’ordine con cui si combinano le frecce: la freccia finale è sempre la stessa |
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Ma come definire la lunghezza delle
singole frecce e, soprattutto, la loro direzione? Non
dimentichiamo che le singole frecce rappresentano le due riflessioni
(nella prima e nella seconda superficie) e la freccia finale
riproduce la probabilità della doppia riflessione. Il vero problema
è quindi definire in modo corretto la direzione di ogni freccia.
Solo lei “deciderà” cosa si ottiene dopo la combinazione delle
frecce, ossia qual è la somma dei vettori. |
Facciamo partire il cronometro ogni volta che un fotone esce dalla
sorgente e schiacciamo con decisione e prontezza il pulsante
all’arrivo del fotone in R1 (sempre che sia uno di quelli che arriva
su R1, ovviamente). Se il fotone giunge a destinazione riflettendosi
sulla prima superficie, dobbiamo considerare come direzione quella
della lancetta, ma invertire il verso, come rappresentato
in Fig. 7a. |
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Sommando le due frecce con il calcolo vettoriale Fig.8 si ricava la freccia finale, il cui quadrato non è altro che la probabilità finale di avere una riflessione, non importa in quale superficie siano avvenute le riflessioni. E’ facile notare che la freccia rossa finale è estremamente corta e quindi la probabilità che capiti l’evento complessivo è veramente vicina a zero (0.0025). |
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Siamo riusciti (senza aver capito perché) a calcolare graficamente la probabilità finale di una doppia riflessione e altresì che due probabilità possono dare una probabilità finale nettamente più bassa che la “banale” somma delle due. In particolare, più bassa anche di quella della sola prima riflessione (che è del 4%). |
Continuiamo il nostro esperimento aumentando lo spessore della
lastra. |
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Sommando, come precedentemente, le due frecce con il calcolo vettoriale si trova che la freccia finale è 0,3 e quindi una probabilità finale di 0,32 = 0,09 ossia del 9% (Fig.10).In questo caso l’aumento di spessore della lastra ha incrementato l’evento riflessione. |
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Aumentiamo ancora lo spessore della lastra fino a un certo livello “critico” e dato che il tragitto del fotone che rimbalza sulla seconda superficie è aumentato vediamo Fig.11 che quando viene percepito dal rivelatore R1 la lancetta del cronometro ha percorso esattamente mezzo giro in più. |
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In questo caso vediamo che le due frecce relative vanno nella stessa direzione e che, di conseguenza, la freccia finale ha una lunghezza esattamente uguale al doppio di quella singola. In conclusione abbiamo una freccia finale rossa che ha una lunghezza di 0.4. Il suo quadrato è 0.16, ossia la probabilità che un fotone rimbalzi verso R1 è salita al suo massimo, il 16% Fig.12 |
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Ricapitoliamo: non comprendiamo bene il perché, tuttavia, abbiamo escogitato (ops… Feynman ha escogitato…) un metodo di una semplicità disarmante che ci permette di calcolare, comunque, la probabilità finale che un fotone ha di arrivare su R1. Noi l’abbiamo seguito graficamente e senza introdurre la “matematica”, ma esistono formule estremamente complesse che potrebbero definirlo in modo ineccepibile. Ricordiamoci che la QED si basa su una perfetta matematica, ma ha la “gentilezza” di farsi comprendere anche attraverso operazioni alla portata di tutti. |
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